MISOGI

di Régis Soavi

In questo articolo, a partire da un tema tratto da I-Ching (Khann = l’abissale), Régis Soavi Sensei ci parla dell’Aikido come una pratica di Misogi.

Il Misogi 禊 è una pratica molto presente presso gli shintoisti. Consiste in un’abluzione, a volte sotto una cascata, in un corso d’acqua, o anche nel mare, e permette una purificazione allo stesso tempo fisica e psichica della persona. In un senso più ampio, Misogi include tutto un processo di risveglio spirituale. È anche un’azione che mira a dare sollievo all’essere da quello che l’opprime, per permettergli di risvegliarsi alla vita. L’acqua è sempre stata considerata come uno dei suoi elementi essenziali.

Come l’acqua, l’Aikido permette di realizzare il Misogi
Ō sensei
Morihei Ueshiba il fondatore dell’Aikido ripeteva in continuazione ai suoi allievi che la pratica di quest’arte era prima di tutto un Misogi.
L’Aikido fa parte delle arti marziali giapponesi per le quali il carattere principale, la natura stessa, è proprio come per l’acqua, la fluidità. L’insegnamento di Itsuo Tsuda sensei, che fu per dieci anni uno degli allievi diretti del fondatore Morihei Ueshiba, non fa che confermarlo. Anche se le sue parole sembrano essere state in gran parte dimenticate si ostinava a ripetere: «Nell’Aikido non c’è combattimento, è l’arte di unirsi e separarsi». Tuttavia quando si guarda una seduta si vedono due persone che sembrano lottare l’una contro l’altra. La differenza viene dal fatto che se una di loro svolge il ruolo dell’attaccante, di fatto è un partner, non si troverà davanti alcuna aggressività, alcun gesto ostile, alcuna violenza, anche se dall’attacco deriva una risposta che può essere impressionante per la sua efficacia.
In generale l’Aikido praticato nella Scuola Itsuo Tsuda si presenta come un’arte di una grande morbidezza in cui viene data la massima importanza alla sensazione, all’attenzione verso l’altro, verso colui o colei che è il partner, e la seduta inizia con una prima parte in scioltezza praticata individualmente. Lungi dal cominciare con un riscaldamento muscolare è attraverso degli esercizi, lenti, morbidi ma comunque tonici che si comincia. La coordinazione con la respirazione è indispensabile perché permette di armonizzare il ki e in tal modo di fare un primo passo verso la scoperta di un mondo che possiede una dimensione supplementare, il “Mondo del Ki”.

Il ki, una forza motrice.
Ai, 合 l’unione, l’armonia
Ki, 気 l’energia vitale, la vita
Do, 道 la via, il cammino, tao
Il ki non è un concetto, un’energia mistica, o una sorta di illusione mentale, il ki fa parte dell’ambito del sentire, delle sensazioni. In realtà tutti sanno di cosa si tratta anche se non gli si dà un nome nell’Occidente di oggi. Imparare a sentirlo, a riconoscerlo, a utilizzarlo, è necessario per chi vuole praticare un’arte marziale, ed è ancor più indispensabile nel caso della pratica dell’Aikido. Nell’Aikido se non ci si concentra sul ki, non resta che la forma, svuotata del suo contenuto, questa forma diventa subito un combattimento, una lotta dove il più forte, se non addirittura il più furbo, riesce a vincere l’altro. Si è così lontani dall’insegnamento del fondatore per il quale era un’arte della pace. Un’arte in cui non c’è né vincitore né vinto. Ad ogni movimento del partner c’è una complementarietà dell’altro, come l’acqua che si sposa con qualsiasi asperità, ogni angolo, senza lasciare nulla indietro.

Il Drago esce dallo stagno dove giaceva addormentato. Calligrafia di Itsuo Tsuda, realizzata con la tecnica rōketsuzome. [È possibile acquistare il libro “Itsuo Tsuda, Calligrafie di primavera” sul sito Yume editions]

Se all’inizio è difficile, è perché molto spesso abbiamo perso la mobilità, e soprattutto, perché ci siamo induriti per proteggerci dal mondo che ci circonda. Ci siamo costruiti un carapace, un’armatura, protettrice certo, ma che è diventata una seconda natura e una prigione invisibile. Fare circolare nuovamente il ki nel nostro corpo in modo da ritrovare la fluidità, seguire un insegnamento fondato sulla sensibilità, permette di comprendere fisicamente lo Yin e lo Yang.

Immergersi in un mare di ki
Gli esercizi, così come tutte le tecniche proposte per la scoperta o per l’approfondimento sono non solo legate dal respiro, che altro non è che la materializzazione o per meglio dire, una visualizzazione del ki, ma permettono di riprendere concretamente coscienza del proprio corpo sia fisicamente sia a livello della sfera di ki, che gli indiani chiamano aura, e che oggi si è praticamente dimenticata quasi ovunque. Quello che le scienze moderne, e le neuroscienze in particolare, stanno scoprendo da alcuni anni non è che una piccola parte di quello che ciascuno può scoprire e realizzare materialmente nella propria vita quotidiana semplicemente attraverso la pratica dell’Aikido come lo insegnava Itsuo Tsuda sensei. Non smetteva di ripetere che l’Aikido di cui parlava il suo maestro Morihei Ueshiba era l’unione di Ka l’inspirazione, la forza ascendente, il quadrato, la trama e di Mi l’espirazione, la forza discendente, il cerchio, l’ordito. Ka è in giapponese una pronuncia di 火il fuoco (che compare per esempio come radicale in kasai 火災 incendio) e Mi la sillaba iniziale di Mizu水 l’acqua. L’insieme forma la parola Kami神che significa il divino nel senso della natura divina di ogni cosa. Itsuo Tsuda aggiungeva a questo proposito: «non bisogna vedere in questa glossa un valore analogo a quello di un’etimologia scientifica. È un gioco di parole, il cui uso è frequente tra i mistici»[1].
Non ho mai visto dei gesti così fluidi come quando ci faceva sentire una tecnica, ed inoltre non vi erano mai incidenti nel suo dojo, nessuna ferita, tutto era come immerso in un ki al tempo stesso rispettoso e generoso ma deciso e rigoroso, che faccio molta fatica a ritrovare oggi nelle palestre che servono all’allenamento degli aikidoka.

Il dojo, un luogo indispensabile
Abbiamo veramente bisogno di un luogo speciale per praticare l’Aikido? Se si trattasse solo della superficie che accoglie le cadute potremmo benissimo posare i tatami ovunque, basta essere al riparo dal maltempo.
Nel suo libro Cuore di cielo puro Itsuo Tsuda, intervistato da un giornalista, ci dà in modo estremamente chiaro una definizione di dojo, lui che era giapponese non poteva trovare parole più adatte per darcene un quadro.

Régis Soavi Sensei

«La Scuola della Respirazione è materialmente un “dojo”, questo spazio particolare in Oriente, che designa più lo spazio energetico che il luogo materiale in sé. […] Come ho già detto, il dojo non è semplicemente uno spazio a sé stante e riservato ad alcuni esercizi. È un luogo dove lo spazio-tempo è diverso da quello di un luogo profano. L’atmosfera è particolarmente intensa. Vi si entra salutando per sacralizzarsi e si esce salutando per desacralizzarsi.
Gli spettatori sono ammessi, a condizione che rispettino questo ambiente, […]. Non bisogna fare superficialmente una parodia della pratica, con parole e gesti. Mi si dice che in Francia [o in Italia] si trovano dei dojo che sono semplicemente delle palestre o dei club sportivi. E sia. Ma quanto a me, voglio che il mio dojo sia un dojo, e non un club con un gestore e i suoi clienti, e questo allo scopo di non disturbare la sincerità dei praticanti. Il che non significa che essi debbano avere una faccia imbronciata e accigliata. Al contrario, bisogna mantenere uno spirito di pace, di comunione e di gioia»[2].
Uno spazio sacro dunque, eppure assolutamente non religioso, uno spazio laico, uno spazio di una grande semplicità dove la libertà di essere ciò che siamo, esiste, al di là della maschera sociale. E non quello che siamo diventati con tutti i compromessi che abbiamo dovuto accettare per poter sopravvivere nella società. Questa libertà sussiste all’interno, nel più profondo di noi stessi, nel nostro cuore intimo, il nostro Kokoro 心 come esprime così bene la lingua giapponese, e non sta chiedendo altro che rivelarsi.

 


[1] Itsuo Tsuda, La science du particulier, edizioni Le Courrier du Livre, Parigi 1976, p. 137.

[2]Itsuo Tsuda Cœur de ciel pur, edizioni Le Courrier du Livre, Parigi 2014, p. 14 e p. 113.

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