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SUPERFICIALITÀ O APPROFONDIMENTO

di Régis Soavi

In questo articolo, a partire da un tema tratto dall’I-Ching (esagramma Tsing = Il pozzo),
Régis Soavi Sensei ci parla delle pratiche dell’Aikido e del Movimento Rigeneratore come strumenti di ricerca e approfondimento di sé. 

Il dojo è, per essenza, il pozzo dove vengono a nutrirsi i praticanti di arti marziali alla ricerca della Via, del Tao. All’opposto del ring o della palestra, offre un luogo di pace necessario, se non addirittura indispensabile, per l’approfondimento dei valori umani.

Oggi viviamo alla velocità della luce. La comunicazione non è mai stata così rapida. Le onde cariche di bit e micro-bit circolano di continuo intorno al nostro pianeta, portatrici di molte più informazioni di quante il nostro cervello possa immagazzinarne. I social hanno rimpiazzato la conoscenza con uno smalto di superficie che può sembrare abbastanza adatto a soddisfare il nostro aspetto sociale. Se negli anni sessanta i membri dell’Internazionale situazionista fustigavano gli pseudo-intellettuali che si nutrivano di riviste come Le Nouvel Observateur o L’Express1 per alimentare le loro conversazioni mondane o i loro scritti, cosa direbbero della democratizzazione proposta ad ognuno per diventare il nuovo Monsieur Jourdain del Borghese Gentiluomo di Molière?
È meglio conoscere un po’ di tutto piuttosto che approfondire qualcosa, questo sembra essere il motto della nostra epoca.
Nelle arti marziali la tendenza sembra andare nella stessa direzione. Molte persone sono interessate alle immagini spettacolari ritrasmesse dai media dove si presentano le capacità fittizie di attori marziali, peraltro molto bravi nel loro mestiere, ma dove la ricerca è principalmente la resa superficiale oltre che commerciale.
L’immagine del pozzo nell’antica Cina dovrebbe farci riflettere sulle tendenze che governano la nostra vita di tutti i giorni. Quando si attingeva l’acqua dal pozzo con l’aiuto di un secchio e di un palo, era proprio la ripetizione di un tale atto che permetteva la vita del villaggio, ed il beneficio fornito era considerato come inesauribile. E se prendessimo esempio da questa antica immagine?
Quando si pratica un’Arte come l’Aikido non si tratta di accumulare un numero sempre maggiore di tecniche, né di ripetere beatamente l’insegnamento prodigato, ma piuttosto di iniziare una ricerca, di riorientarsi verso qualcosa di più profondo così da abbandonare il superficiale, il superfluo, che ci ha tanto deluso e che non sopportiamo più.

Praticare l’Aikido significa riorientarsi verso qualcosa di più profondo così da abbandonare il superficiale.

Molti di coloro che all’inizio sono estremamente entusiasti di iniziare un vero lavoro con il loro corpo, si stancano della ripetizione, troppo spesso scolastica, oppure si lasciano fuorviare dall’ultima moda. Si vedono così persone che collezionano i metodi e passano da un’arte all’altra, dallo Yoga al Tai-chi, dal Karate alla Capoeira, pensando a volte che una di esse sia superiore all’altra come spiega molto bene uno youtuber alla moda che fa attualità a suo piacimento.
Di fronte a tutti questi personaggi che vivono solo per influenzare i loro followers e si guadagnano da vivere alle loro spalle grazie al numero di «like» e alla pubblicità che generano, non sarebbe il momento di cercare in fondo a se stessi? Di prendersi il tempo di riflettere piuttosto che consumare passivamente la riflessione di un altro? Di muovere il proprio corpo per ritrovare un’armonia perduta piuttosto che cercare nel virtuale un complemento alla routine derivante dalla povertà del quotidiano?
Il dojo in quanto luogo di ricerca possiede tutte le caratteristiche del pozzo: è al contempo un luogo di allenamento, poiché vi si attinge ogni giorno, e allo stesso tempo (e forse più) è un luogo di convivialità dove il sociale si sbarazza di ciò che gli impedisce di essere vero, vale a dire di essere il più vicino possibile alla natura profonda degli individui. Un luogo dove la sociabilità sfugge alle convenzioni, un luogo dove si può comunicare, entrare fisicamente in contatto con l’altro in modo semplice, con tutte le difficoltà che ciò può comportare per colui o colei che non è pronto o pronta.
Tutta la difficoltà risiede nel fatto di non rimanere in superficie nella pratica, di non accontentarsi di surfare su un oceano di immagini diventate virtuali o sguazzare sulla riva e questo se possibile senza bagnarsi troppo, ma di impregnarsi di quello che vi si trova, di lasciare ciò che ci ingombra in modo da esplorarne le profondità.
Il mio Maestro Itsuo Tsuda nel suo libro Il Non-fare2 ci dà con semplicità, un’idea della sua ricerca e del lavoro che ha intrapreso in Europa.

Itsuo Tsuda.

«Cosa sono io in confronto alla grandezza dell’Amore cosmico del Maestro Ueshiba, della tecnica del Non-Fare del Maestro Noguchi, o della raffinatezza insondabile del Maestro Kanze Kasetsu, attore del teatro Nō? Li ho conosciuti tutti e tre; due sono morti, solo il Maestro Noguchi è in vita [Haruchika Noguchi muore nel 1976].
La loro influenza continua a lavorare in me.
Essi sono maestri per natura. Io sono solo un essere che comincia a risvegliarsi, che cerca ed evolve.
Una straordinaria continuità di sforzi costanti caratterizza le opere di questi maestri. Ho l’impressione di trovare in un terreno arido, pozzi di una profondità eccezionale. Il punto in cui il lavoro di categorizzazione si ferma non è per loro che il punto di partenza. Hanno scavato ben al di là. Hanno raggiunto le vene d’acqua, la sorgente della vita.
Tuttavia, questi pozzi non comunicano tra loro, anche se è la stessa acqua che vi si trova. Il compito che incombe su di me è quello di stendere una carta geografica, di trovare un linguaggio comune.» Questo linguaggio, Itsuo Tsuda lo troverà nell’arte della scrittura (definiva se stesso scrittore-filosofo, come testimonia la sua lapide al cimitero di Père Lachaise), nell’insegnamento di una certa forma dell’Aikido basata sulla respirazione e l’approfondimento della sensazione del Ki, infine facendo conoscere il Katsugen undo (Movimento rigeneratore). Attraverso il suo lavoro, i suoi scritti, il suo insegnamento, riuscirà a creare un ponte tra l’Oriente e l’Occidente.
Ciò che minaccia il praticante di arti marziali e in particolare di Aikido è la noia dovuta alla ripetizione, alla ricerca dell’efficacia, al fatto di perfezionare la tecnica, e tutto questo a detrimento della profondità dell’arte, nonché della cultura che la sottende. Di fatto, la nostra epoca non è più soggetta agli stessi imperativi dei secoli scorsi, se è comunque utile essere in grado di reagire in caso di aggressione o di difficoltà, quello che sarà determinante è più la forza interiore e il risveglio dell’istinto, che la capacità di combattere. L’Aikido rimane una pratica del corpo, dove il rigore, la dinamica, il savoir-faire, hanno un’importanza capitale, ma il suo aspetto filosofico è tutt’altro che trascurabile. Questo aspetto non ha niente di contraddittorio, semmai il contrario, uno dei miei vecchi maestri Masamichi Noro l’aveva ben compreso quando, alla fine degli anni settanta, creò una nuova arte: il Ki no Michi (la via del Ki). La ricerca nell’Aikido è qualcosa di difficile e a volte può persino risultare deleteria, perché se non si tratta di affrontare altri combattenti, non si tratta neppure di meditazione o danza, e posso dire questo perché ho un immenso rispetto per queste arti, i cui pozzi sono diversi, ma la ricerca va sempre nella stessa direzione: andare a cercare sul versante dello sviluppo delle capacità umane, della cultura al di là del conosciuto, rimettersi in discussione e mettere in dubbio le idee del mondo, avanzare per far avanzare la nostra società per uscire forse un giorno dalla barbarie e dall’oscurantismo. Basta rileggere la conferenza di Umberto Eco3 su come l’essere umano si costruisca dei nemici per rendersi conto che abbiamo bisogno più che mai di conoscere l’altro per meglio comprenderlo.
L’Aikido come Arte del Non-fare è una porta verso quello che molte persone cercano: la realizzazione di se stessi, senza un ego smisurato, ma nella semplicità, e con il piacere di un vissuto autentico.

1. Le Nouvel Observateur, settimanale francese fondato nel 1950, è il principale periodico generalista parigino in termini di diffusione. L’Express è un settimanale francese di attualità e politica fondato nel 1953 sul modello del periodico statunitense Time.
2. Itsuo Tsuda, Il Non-fare, Yume Editions – Parigi 2014 pp. 13, 14.
3. Umberto Eco, Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Bompiani Milano 2011.



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AIKIDO AL PARCO: UNA DIMOSTRAZIONE DI BOKKEN ALL’ APERTO

Domenica 26 maggio a una festa di quartiere che si tiene nel parco di via Livigno, zona nord di Milano, abbiamo organizzato una dimostrazione di Aikido con l’utilizzo del bokken, la spada di legno giapponese. Non ci interessava stupire il pubblico con pose marziali o tecniche spettacolari. Preferivamo mostrare quello che facciamo tutti i giorni nelle sedute di pratica regolare al dojo. Ma è pur vero che ricreare le condizioni di un dojo, il luogo in cui pratichiamo l’Aikido, in un luogo pubblico, all’aperto, in una festa di quartiere, non è facile.

Un dojo “è un po’ come uno scrigno…”. “Certo, è possibile praticare ovunque, adattarsi a tutte le circostanze. Ma è sempre auspicabile?” Facendo un parallelo con la musica, “si può suonare all’aperto, in una palestra, in una scuola, una chiesa, un ospedale, ecc. […] Ma una buona sala da concerto è un’altra cosa. È uno scrigno, dove il musicista, invece di passare il tempo ad adattarsi alla situazione, a compensare la cattiva acustica o altro, può immergersi nell’ascolto, cercare la finezza e far sorgere la musica.” [1]

Il Maestro Tsuda parlava di “un luogo dove lo spazio-tempo è diverso” [2], ed è “per questo che nella Scuola Itsuo Tsuda diamo tanta importanza alla creazione dei Dojo.”[3]
Domenica al parco abbiamo provato a ricreare le condizioni che troviamo al dojo, dove pratichiamo sempre davanti a una calligrafia, che per il Maestro Tsuda rappresentava un altro modo di trasmettere il suo insegnamento.

Abbiamo preparato lo spazio e montato su un cavalletto la calligrafia “Cento fiori”, a proposito della quale il Maestro Tsuda dando un’indicazione a mo’ di titolo disse “a ognuno il suo sbocciare”, ed anche “Cento fiori per indicare la diversità degli uomini”. [4]

Poi, come spiegato all’inizio della dimostrazione e come facciamo in ogni seduta, abbiamo iniziato con la Pratica respiratoria, come il Maestro Itsuo Tsuda chiamava la pratica individuale che precede quella in coppia. Per lui, come per O Sensei Ueshiba, questa parte iniziale è l’occasione di ritrovarsi un po’ alla volta, giorno dopo giorno di armonizzarsi con ciò che ci sta intorno e con noi stessi, in quanto apparteniamo alla Natura, siamo tutt’uno con essa.

Con questo stesso spirito, alla prima parte sono seguite alcune tecniche a coppie con il bokken e una dimostrazione di estrazione di spada giapponese.

L’importanza della pratica, della pratica regolare, non si può veramente spiegare a parole. Come scrive Régis Soavi Sensei, “lo spirito dell’Aikido si trova nella pratica stessa e poco a poco lo si scopre. Ed è un reale godimento questa scoperta. Le persone che iniziano, quando prendono coscienza della sua importanza, entrano pienamente in quest’arte che è la nostra.” [5]
Per noi era interessante praticare all’aperto e incontrare altre persone per far scoprire loro il nostro Aikido, ma la pratica regolare al dojo è un piacere incomparabile che tutti possono provare!

Note

[1] Manon Soavi, Dojo, un autre espace-temps, Dragon Magazine Special Aikido n. 18, 2017, p. 60-63, di prossima traduzione in italiano sul blog della Scuola Itsuo Tsuda.
[2] Itsuo Tsuda. Cœur de Ciel Pur, Éditions Le Courrier du Livre, 2014, p. 113.
[3] Manon Soavi, Dojo, un autre espace-temps, Dragon Magazine Special Aikido n. 18, 2017, p. 60-63.
[4] Itsuo Tsuda. Calligrafie di primavera, Yume editions, 2018, p. 330.
[5] Régis Soavi, L’esprit de l’Aïkido est dans la pratique, Dragon Magazine Special Aikido n. 18, 2017, p. 50-52, trad. it.

 

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